A cura di Manuela Moschin
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Le trasparenti atmosfere unite alla padronanza della tecnica a olio e alla cura nei dettagli di ispirazione fiamminga, caratterizzano le opere di Antonello da Messina (circa 1430-1479). È probabile che il pittore siciliano abbia conosciuto la pittura a olio a Napoli, in cui egli venne a contatto con le opere fiamminghe e dove si formò presso il pittore Colantonio. Antonello nacque a Messina, ma visse anche a Venezia, dove giunse tra il 1474 e il 1475 per restarvi fino alla fine del 1476. Qui frequentò Giovanni Bellini, rimanendo attratto dalla dolcezza delle sue Madonne. Venezia fu per lui determinante per quanto riguarda l’uso del colore, mentre pare che egli abbia diffuso la tecnica della pittura a olio nella città lagunare.
Maturò la fama di maestro della prospettiva, che assieme alla particolare minuzia applicata nella descrizione degli oggetti, contribuirono ad attuare un fondamentale rinnovamento artistico nel periodo rinascimentale. L’accuratezza dei suoi ritratti è percepibile dalle espressioni dei volti, che appaiono realistici. Le immagini destinate alla venerazione suscitano una sentita compassione e un profondo senso di spiritualità. L’artista produsse diverse figure religiose alle quali esaltò il carattere psicologico, attraverso cui trasmette forti emozioni. Il dipinto La Pietà con tre angeli (1474-1476) è colmo di quell’atmosfera drammatica presente nelle rappresentazioni devozionali, delle quali Antonello da Messina e Giovanni Bellini furono i maggiori interpreti. Conservato nel Museo Correr di Venezia, il dipinto in origine si trovava nella sala del Consiglio dei Dieci nel Palazzo Ducale. Anche se le sue condizioni sono critiche a causa delle puliture effettuate in passato con solventi troppo forti, il dipinto rimane un esempio di opulenza, nel quale si riconosce il linguaggio figurativo di Antonello. Si tratta dell’unico dipinto del pittore rimasto a Venezia, volto a testimoniare la sua presenza nella città. L’opera è di derivazione belliniana in base alla postura delle gambe di Cristo e all’espressione degli angeli, che appaiono affranti. Quello che attira maggiormente è la posizione delle braccia con le due mani abbandonate senza vita. Sullo sfondo si nota una veduta di Messina, dove compaiono le absidi della chiesa di San Francesco. L’opera giunse dalla collezione dell’abate Teodoro Correr, che consegnò la sua raccolta alla municipalità di Venezia nel 1830. Non si conosce la precedente storia del dipinto. Dopo la caduta della Repubblica di Venezia, che avvenne nel 1797, Correr acquistò sul mercato locale la maggior parte delle opere appartenenti alla raccolta.