A cura di Manuela Moschin
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Durante l’epoca in cui visse Guido Reni (Bologna, 4 novembre 1575 – 18 agosto 1642), esponente del classicismo, ci furono due importanti famiglie nobili che si contesero il potere: i Pamphilj e i Barberini. In questo contesto accadde un episodio che coinvolse anche l’artista. Il cardinale di Sant’ Onofrio Antonio Barberini, fratello del papa Urbano VIII (Maffeo Barberini, 1568-1644), commissionò a Guido Reni il dipinto San Michele Arcangelo (Fig.1-2) da collocare nella prima cappella a destra della chiesa di Santa Maria della Concezione, anch’essa edificata dal Barberini nel 1624. Fino a questo punto non c’è nulla di inconsueto. Il cardinale chiese semplicemente al pittore di ritrarre un angelo che fosse di una bellezza celestiale. Reni, però, non si limitò unicamente a soddisfare la sua richiesta. L’artista a causa di un torto subito da parte del cardinale Giovanni Battista Pamphilj (futuro papa Innocenzo X), approfittò della situazione per vendicarsi nei suoi confronti. Pare che in qualche occasione il Pamphilj abbia diffamato l’artista parlando di lui in modo offensivo. Reni, che era un uomo dal carattere bizzarro e astioso, ebbe un’idea piuttosto malefica ritraendo un giovane arcangelo con tratti quasi femminili, mentre sta impugnando una spada e schiacciando la testa del demonio con un piede (Fig.1-2). La particolarità riguarda il volto del diavolo, poiché risultò possedere le sembianze del futuro papa Innocenzo X.
In un ritratto di Diego Velázquez raffigurante papa Innocenzo X (Fig.3) si possono riconoscere affinità fisionomiche con il personaggio raffigurato dal Reni. Si può notare che il viso calpestato dall’arcangelo Michele (Fig. 2) è molto simile a quello di Giovanni Battista Pamphilj dipinto da Velázquez (Fig. 3).
Quando il nobile si rese conto della somiglianza con il diavolo, Reni si difese dicendo:
“L’angelo io non potevo vederlo e dovetti dipingerlo secondo la mia fantasia. Il demone invece l’ho incontrato parecchie volte, l’ho guardato attentamente e ho fissato i suoi tratti proprio come li ho visti”.
Il pittore scrisse in una lettera che accompagnava il dipinto San Michele Arcangelo:
“Vorrei aver avuto pennello angelico e forme di paradiso, per formar l’arcangelo e vederlo in cielo, ma io non ho potuto salir tant’alto, ed in vano l’ho ricercato in terra, sicchè ho riguardato in quella forma che nell’idea mi sono stabilita”.
A parte questo singolare aneddoto, la peculiarità del dipinto deriva dalla grazia dei movimenti, dal gioco dei colori che sono luminosi e vivaci nell’arcangelo, invece sono cupi e terrosi nel muscoloso demonio.
La maestosa figura dell’arcangelo che giunge con le vesti fluttuanti e il volto aggraziato incarna la bellezza ideale, simboleggiando dunque il bene. Si scontra con le atroci malvagità del demonio che calpestato e sconfitto impersona il male.
Lo storico dell’arte Roberto Longhi (1890-1970) si espresse così nei confronti dell’artista:
“un anelito a estasiarsi, dove il corpo non è che un ricordo mormorato, un’impronta; un movente quasi buddistico, che bene s’accorda con l’esperienza tentata da Guido di dipinger sulla seta, a somiglianza, appunto, degli orientali”.
Iconografia cristiana
Secondo l’iconografia cristiana, l’immagine di Michele arcangelo deriva dai passi dell’Apocalisse, ovverosia dall’ultimo libro del Nuovo Testamento. Il santo è solitamente rappresentato alato in armatura e con la spada oppure una lancia per sconfiggere il diavolo. Il nome Michele significa Chi è come Dio. Egli è conosciuto come difensore della fede in Dio contro il male di Satana.