conservato nella Scuola di San Giorgio degli Schiavoni a Venezia
A cura di Manuela Moschin
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Nella Scuola di San Giorgio degli Schiavoni a Venezia, eretta dalla comunità dei Dalmati, è conservato un ciclo pittorico di storie che Vittore Carpaccio (Venezia, 1465 ca. – Capodistria, 1525/1526) dipinse tra il 1502 e il 1507. Si tratta di una serie di teleri che hanno come tema i santi protettori della confraternita: San Giorgio, San Girolamo e San Trifone. Qui esamineremo l’opera “San Giorgio e il Drago” datata 1502.
L’istituzione di San Giorgio, che probabilmente commissionò i dipinti, venne edificata nel 1451 per ospitare le persone provenienti dalla Dalmazia, che all’inizio del XV secolo fu sotto il dominio veneziano. La Scuola si trova nel Sestiere Castello, Calle dei Furlani, vicino al ponte della Comenda.
La storia di San Giorgio che uccide il drago è narrata nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, il cui racconto è ambientato nella città libica di Selene, situata in un lago di dimensioni grandi come un mare. In questo luogo viveva un tremendo drago, che i cittadini cercavano di calmare offrendogli un pasto costituito da due pecore al giorno. Quando gli animali furono tutti ingoiati, i Seleniti furono costretti a estrarre a sorte giovani del popolo. Nel momento in cui anche questi vennero tutti consumati dalla bestia, toccò il sacrificio all’unica figlia del re. Dopo averla abbigliata, il padre benedì la principessa che si avviò verso il lago per raggiungere il drago. Giorgio, proveniente dalla Cappadocia, trovandosi di passaggio, scorse la giovane nella situazione di pericolo. La principessa tentò invano a far fuggire Giorgio, ma costui salito a cavallo assalì il drago ferendolo con la lancia. Qui accadde un fatto curioso, poiché Giorgio invitò la principessa a utilizzare la sua cintura come guinzaglio per condurre il drago in città. Giorgio, che provocò il terrore tra gli abitanti, promise di uccidere il drago qualora si fossero tutti convertiti a Cristo. Dopo il battesimo del popolo, Giorgio uccise il drago e rifiutando un compenso in denaro scomparì nel nulla.
Secondo l’esperto storico dell’arte Augusto Gentili il racconto della Legenda Aurea è costituito da una serie di simboli e metafore che trattano argomenti di ordine sociale e religioso. Per esempio nella conversione dei cittadini, Giorgio si qualifica come sacerdote cristiano, il quale invita la principessa a togliersi la cintura virginale per avvolgerla intorno al collo del drago, come segno di sconfitta della lussuria, poiché da quel momento la giovane divenne disponibile alle nozze.
La tela San Giorgio e il drago raffigura il santo al galoppo nell’istante in cui sta trafiggendo la testa del drago, mentre la principessa si trova sullo sfondo a destra. In uno scenario di combattimento, le cromie terrose amplificano l’ambientazione desertica, che appare arida. Alla base del dipinto emergono alcuni scheletri che testimoniano i delitti compiuti dal drago: i resti di una donna e quelli di un uomo con un piede staccato, teschi anche di animali sparsi ovunque. Sullo sfondo compare la città libica di Selene con castelli, adagiati vicino a un’insenatura, dove si scorgono una nave e un veliero.
Venezia custodisce un’altra versione di San Giorgio e il drago di Carpaccio, firmata e datata 1516, ed è conservata nell’Abbazia di San Giorgio Maggiore. Precisamente l’opera non si trova nella chiesa, ma nella Sala del conclave.