A cura di Manuela Moschin
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Francesco Hayez (Venezia, 1791-Milano 1882) nel 1840-41 dipinse Malinconia, un’opera conservata nella Pinacoteca di Brera di Milano, contenente una serie di simboli che lasciano trasparire uno stato d’animo malinconico. L’aspetto scomposto e triste della ragazza con il viso levigato e pallido, è evidenziato dalla veste calata sulla spalla. Appare con le mani intrecciate, gli occhi arrossati e gonfi, forse causati da un lungo pianto. I fiori che perdono i petali alludono alla caducità e alla scomparsa della gioia. La preziosa veste di seta con riflessi luminosi è molto realistica. La gradazione di tonalità deriva dalla predilezione dell’artista per la scuola rinascimentale veneta di Giorgione e Tiziano.
Hayez nacque a Venezia, dove compì la sua prima formazione. In seguito visse a Roma, in cui, nel 1809, vinse il Premio Roma. Successivamente si stabilì a Milano, diventando nel 1850 titolare dell’Accademia di Brera ottenendo la cattedra di pittura. Nell’Accademia sono conservati una grande quantità di disegni che testimoniano il costante studio e la sua prolificità.
È interessante sapere che Hayez dettò la sua autobiografia intitolata Le Mie Memorie alla Contessa Giuseppina Negroni Prati Morosini. A tal proposito lo scrittore e giornalista Raffaello Barbiera (1851-1934) redattore del Corriere della Sera scrisse:
« La contessa Giuseppina lo eccitava a scrivere le sue memorie; ma l’autore del Bacio, aveva, si sa, più facile il pennello che la penna. Un bel giorno, l’amica sua si risolse a scriverle lei quelle ricordanze d’arte e di vita, facendosele dettare a poco a poco dal pittore. E così fu: il vecchissimo artista dalla immacolata canizie, seduto su un seggiolone parlava e la contessa scriveva».
Hayez descrisse in questo modo il dipinto Malinconia nella sua autobiografia:
«La Malinconia era rappresentata da una giovane donna del Medioevo, che presa da un sentimento d’amore, sta in una posa abbandonata, che nonostante la passione per i fiori, da essa raccolti in un vaso, tenendone uno in mano che forse le ricorda la persona a lei cara, tiene alquanto china la testa, per meglio nutrire il pensiero che la domina, non curante tutto quello che le sta intorno, e gli abiti stessi che le cadono da una spalla, lasciando vedere parte del petto. L’abito è di raso celeste carico ch’io credetti adatto al soggetto, anche perché contrapposto alle tinte vive dei diversi fiori, ch’io presi tutti dal vero con cura coscienziosa».
Sono Manuela Moschin, scrittrice, nata a Venezia-Mestre e attualmente vivo e lavoro in provincia di Venezia. Ho conseguito la laurea in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, indirizzo Storia dell’Arte. La mia opera prima è “ātman”. Nel mese di maggio 2022 alcuni miei scritti sono stati selezionati per “Risveglio”, un’antologia a cura di Storie di Libri, mentre nel settembre dello stesso anno ho pubblicato il saggio “Le Metamorfosi di Ovidio nell’arte”, Espera Edizioni. Nel mese di marzo 2023 ho pubblicato assieme a mia madre Mirella Alberti, deceduta, la raccolta di poesie “Un giglio bianco al 4910” a cura di Storie di Libri. Collaboro in linea diretta con storiedilibri.com e diverse testate online. Dalla mia passione per le materie umanistiche nasce il blog librarte.eu, contenitore di articoli di storia dell’arte e recensioni di libri.