"Discomparse" di Gian Maria Annovi - Finalista Premio Strega Poesia 2024
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“Discomparse” di Gian Maria Annovi – Finalista Premio Strega Poesia 2024

Nino Aragno Editore

Recensione a cura di Manuela Moschin

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La poesia di Gian Maria Annovi è stata amore a prima vista per la sua intensità e originalità, qualità che ho potuto apprezzare durante l’evento Pordenonelegge, dove l’autore ha letto i suoi versi. “Discomparse”, il titolo della raccolta poetica, si distingue per l’uso di un linguaggio innovativo e dirompente, che combina dialoghi in versi con immagini potenti e una sintassi intricata e ricca di segni. Annovi ha creato una trama poetica profonda e coinvolgente, che porta a riflessioni su temi complessi come l’emarginazione, la solitudine e la trasformazione sociale.

L’opera si concentra in particolare sulle figure invisibili e sfruttate, come le badanti e i migranti, chiamate appunto “discomparse”. Queste sono persone che la società sfrutta nel momento del bisogno, ma poi abbandona quando quel bisogno finisce. Annovi dà loro voce, celebrandole e portando alla luce le ingiustizie e la disumanità di un mondo che spesso le dimentica. Attraverso i suoi versi, invita il lettore a una riflessione empatica sulle disuguaglianze sociali. Gian Maria insegna letteratura presso la University of Southern California e fa parte dei cinque finalisti del Premio Strega Poesia.

Le sue poesie sono un colpo al cuore, come questa intitolata:

“Natura morta”:

stanno come pane gettato

sull’acqua

ceste colme di ossa leggere

di sogni

di molte parole spaventose

che spumano al largo

sotto il sole

sono corpi che fanno un canto

un domandìo necessario

per te

che reggi il telefono

                il telecomando

Prefazione

«Un’altra grammatica in cui non esiste l’articolo, con segni diversi in cui entrano vento, gelo e suoni gutturali, suoni sciti, ritmi lontani»: così, alla prima uscita, Antonella Anedda presentava quel piccolo classico contemporaneo che è La scolta. Da questa stazione – abitata da una «Signora» ridotta a «un sacco di ossa e respiro», e da una «non italiana» che «la bada» – comincia, dieci anni dopo Italics, il nuovo percorso di Gian Maria Annovi. Nella loro varietà sorprendente, le voci che abitano Discomparse danno parola agli «svociati, gli sfigurati del margine, che i discorsi dominanti negano, cancellano, dimenticano». Così se nella Scolta si confrontano, in un teatro della crudeltà dove la tragedia classica incontra Bergman, due inverse inibizioni della lingua (la vecchia «che traduceva il greco» ma della quale ora leggiamo solo i pensieri, e la «scolta» venuta dall’Est con «una lingua che pare / calcata da un grosso bove»), in Visita alla città di Sodoma un allegorico «deserto» è punteggiato da lapidi d’invenzione, in ricordo di coloro che persero la vita per la propria sessualità (come «PIER PAOLO», che «LASCIA LA MADRE / E IL MONDO STUPENDO E / MALEDETTO»). La stessa geografia, in Antiscoperta dei monti, consente la «discoperta» di «cose che non son cose», per dirla con Leopardi, «ma sono comunque». Quelle «discomparse» sono presenze che la preterizione consegna al desiderio o al rimpianto: come nelle parole-singhiozzo rivolte da Lear, in Cor, al corpo straziato di sua figlia. O come le figure dei neri riscattate dagli Estratti, invertendo il «naufragio di voci» di una tradizione che li emargina, per segnare a dito l’altra scomparsa, in mare, che sfregia il nostro tempo. La parola si «squaglia» e si «diplasma» – ma solo per «innascere». Una lingua che prenda atto della propria costitutiva partizione è una lingua non (ancora) nata, che nondimeno parla. Come quella «che s’innova e che / scalcia», dalla «Signora» indovinata in quella barbarica della «scolta»: prima o poi destinata a «scalzare dal nostro domani / questo paralizzato italiano». Se tornerà possibile un dialogo, allora, finalmente potremo dire di essere nati. Andrea Cortellessa

Gian Maria Annovi e Manuela Moschin
Gian Maria Annovi a destra, Pordenonelegge 2024

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